mercoledì 1 ottobre 2008

Nicolò e Max, il papà di un angelo.


LA NOSTRA ESPERIENZA DI VITA CON NICOLO’


Il nostro Dolce Angioletto nacque il 5 aprile 2007, il giovedì di Pasqua; come ogni nascita, anche per noi è stata un’esperienza indescrivibile, difficile da raccontare se non la vivi sulla tua pelle. Mi sovvengono le parole di alcuni miei amici: “Vedrai che emozione quando diventerai papà!” Infatti, così è stato. Mi ricordo ancora perfettamente il momento in cui mi hanno chiamato per farmi vedere mio figlio; l’avevano posto sotto una lampada per riscaldarlo perché era un po’ infreddolito. Appena ho visto quel tenero fagottino ho iniziato a piangere come una fontana; chi avrebbe mai immaginato che nel giro di una settimana quelle lacrime di gioia si sarebbero trasformate in lacrime di rabbia, sofferenza e dolore.
Infatti, il 13 aprile l’elettromiografia eseguita su Nicolò aveva dato risultati preoccupanti; dopo altri sette giorni di attesa snervante, durante i quali i medici preferirono non pronunciarsi, giunse l’infausta notizia: Nicolò era affetto da amiotrofia spinale nella forma più grave, la cosiddetta SMA di tipo 1, quella che compare fin dalla nascita.
Durante le prime settimane, cosa che presumo accada ad ogni essere umano, il nostro cuore di genitori era pervaso da un misto d’incredulità, rabbia e tristezza. In particolare la domanda più ricorrente era: “Perché a noi?”
Io soprattutto mi ero arrabattato su internet alla ricerca di una possibile cura per nostro figlio, avevo contattato telefonicamente diversi specialisti in tutta Italia, di cui uno con notevoli esperienze lavorative anche negli Stati Uniti, ma la risposta era sempre la medesima: al momento non esistono cure e bisogna attendere per vedere come evolverà la malattia su Nicolò.
Sempre in questo periodo siamo venuti in contatto con il S.A.PRE. cioè il Servizio di Abilitazione Precoce per i genitori che hanno neonati affetti da patologie neurologiche altamente invalidanti e a prognosi rapidamente infausta. Da questo momento in poi i nostri sentimenti sono poco per volta evoluti; seppur persone di fede, all’inizio ci pareva una punizione questa malattia di nostro figlio. In seguito, insieme alla rassegnazione, i sentimenti di amore e dedizione nei confronti di Nicolò si facevano sempre più forti dentro i nostri cuori.
Più passavano i giorni, grazie anche agli insegnamenti ricevuti dal S.A.PRE., si faceva strada in noi la consapevolezza che non dovevamo essere solo rassegnati e impotenti. Certo non potevamo guarirlo, però avere un ruolo attivo nella sua vita sì, per cercare di rendere ogni suo giorno su questa terra un giorno speciale, proprio perché non sapevamo per quanto tempo Nostro Signore l’avrebbe lasciato con noi.
La svolta giunse nel mese di agosto, il periodo più bello vissuto con Nicolò. A dispetto di quanto consigliato dai medici, abbiamo seguito il nostro cuore e deciso di far scoprire il mondo a nostro figlio. Pertanto siamo andati prima ad Urbino per dieci giorni dai miei parenti e per i restanti quindici giorni addirittura in Salento dai familiari di mia moglie. Solo perché ci sono le foto a testimoniarlo, altrimenti in pochissimi hanno creduto che nientemeno abbiamo fatto fare il bagno in mare a Nicolò!
Da settembre in poi il peggioramento era stato costante, il piccolo poteva essere nutrito solo mediante un sondino che ogni volta lo facevamo passare attraverso il nasino fino ad arrivare allo stomaco. Così la nostra vita si concentrò su ogni singolo respiro, su ogni colpo di tosse di Nicolò; il nostro amore e la nostra dedizione nei suoi confronti diventavano ogni giorno maggiore.
Alla fine di questo nostro cammino durato 7 mesi e mezzo, la domanda che i più si potranno fare è la seguente: perché profondere tutto l’amore possibile per questo figlio considerato “inutile”, senza un progetto futuro, che, come una meteora, si è affacciato all’esistenza e poi molto precocemente ci ha lasciato? La nostra risposta è stata: non possiamo arrogarci il diritto di dire quale vita sia più degna dell’altra, non sappiamo quale progetto ha Dio per le vite di questi suoi figli come il nostro Nicolò, ma sappiamo che pur nella loro apparente inutilità, debolezza e infermità si cela il mistero dell’amore di Dio per i più piccoli e per i più diseredati.
Con la scelta fatta da noi dell’accompagnamento, in altre parole tenere Nicolò in casa con noi fino al suo ultimo giorno di vita, imparando ad utilizzare tutti i macchinari e le attrezzature necessarie per la sua sopravvivenza, non abbiamo interrotto il progetto fondamentale che è la vita di Nicolò, non abbiamo interrotto altresì la vita “progettuale” di sogni, di speranze e d’amore che noi come genitori avevamo costruito dinanzi all’evento.
Alla fine i frutti di questo accompagnamento sono stati una grande pace e un’apertura ancora più grande all’accoglienza e alla difesa della vita in tutti i sensi. Perché accogliere queste vite non è un esercizio eroico, ma la naturale accettazione del figlio che la sana ragione umana e il sano cuore umano non possono negare.
il papà di Nicolò

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