lunedì 23 febbraio 2009

Catania: 27-28 febbraio giornate sulle malattie rare.


ARNAS Garibaldi – Nesima
Dipartimento Materno Infantile
Direttore: Prof. Giuseppe Ettore
Centro di Consulenza Genetica e di
Teratologia della Riproduzione
Responsabile: Dr. Sebastiano Bianca

GIORNATA SULLE MALATTIE RARE

Venerdi 27.02.09 (ore 8.00 – 14.00)
- stand nella hall dell’Ospedale Garibaldi Nesima con la distribuzione di materiale informativo sulle malattie rare e su malattie genetiche
- l’ambulatorio di genetica rimane aperto al pubblico gratuitamente per chi volesse rivolgere quesiti su patologie genetiche


Sabato 28.02.09
“Diagnosi e prevenzione delle malattie genetiche e delle anomalie congenite rare”
Meeting scientifico sulle malattie genetiche rivolto a medici e pazienti
Aula Dipartimento Materno Infantile – Garibaldi Nesima

8.30 Registrazione partecipanti
9.00 Saluto
G. Navarria – Direttore Generale ARNAS Garibaldi Catania
Presentazione
S. Giuffrida – Direttore Sanitario Aziendale ARNAS Garibaldi, Catania
G. Giammanco – Direttore Sanitario P.O. Garibaldi Nesima, Catania

Moderatori: L. Greco - T. Mattina
9.20 Le malattie genetiche e le anomalie congenite: rare ma non troppo
S. Bianca – ARNAS Garibaldi Nesima , Catania


9.40 Prevenzione periconcezionale e diagnosi precoce delle anomalie congenite e delle malattie
genetiche rare
G. Ettore – ARNAS Garibaldi Nesima, Catania
10.00 L’approccio clinico alla diagnosi delle malattie genetiche rare con ritardo mentale
C. Romano – Oasi Maria SS, Troina
10.20 Nuove frontiere nella diagnosi delle malattie genetiche
M. Fichera – Oasi Maria SS, Troina
10.40 Le malattie genetiche: il ruolo del pediatra
C. Salpietro – Università di Messina
11.00 Discussione

11.20 Tavola rotonda: Il paziente al centro dell’assistenza: Associazioni ed Ospedale
un’integrazione possibile?

Moderatori: S. Bianca – G. Giammanco
Intervengono medici e associazioni di pazienti con malattie rare

7 marzo al SAPre





Il 7 marzo alle 12.00 accompagnati da qualcosa di buono da mangiare il SAPre apre le porte....per incontrarsi, confrontarsi, confortarsi, sostenersi, portare i bambini, mostrare i pancioni o semplicemente.....conoscere Chiara.

sabato 21 febbraio 2009

contro il silenzio...

Giornata Mondiale di sensibilizzazione sulle Malattie Rare

Insieme all’Istituto Superiore di Sanità per fare luce sulle storie invisibiliCi sono decine di migliaia di cittadini italiani, donne, uomini e bambini, che convivono con una malattia rara. E lo fanno nella sostanziale indifferenza dei mezzi di comunicazione. Spesso si dimentica, infatti, che dietro ogni singola malattia rara c'è sempre una persona, una storia di vita, e una famiglia che condivide in modo quasi sempre totalizzante la condizione del proprio caro. La rarità di queste malattie li chiude in un cerchio di isolamento e frantuma i loro problemi quotidiani in mille universi diversi, senza un comune denominatore, aumentando così la solitudine e stringendo le loro domande in un labirinto. In occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare che l'Istituto Superiore di Sanità celebrerà il 27 febbraio prossimo, chiediamo dunque a tutte le donne e agli uomini della cultura e ai cittadini di firmare un appello che aiuti a far luce su queste storie di invisibilità. Un'iniziativa che può aiutare a far uscire queste persone dal cono d'ombra in cui sono relegate. Persone che devono veder riconosciuto il diritto alla salute, certo, ma anche alla vita sociale, economica e culturale del nostro Paese. La nostra speranza è che tutti coloro che dispongono di mezzi espressivi li possano usare per raccontare queste solitudini, per spiegare al mondo che esse fanno parte anche di noi. Primi firmatari:Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la MedicinaAlberto Asor Rosa, storico della letteratura italiana e critico letterarioSergio Zavoli, Presidente Commissione di Vigilanza Rai Franco Cardini, docente universitario------------------------------------------------------------------------------------------------------
Modalità per aderire:inviare una e-mail a appellomalattierare@iss.it

copia e incolla il Testo dell'e-mail (i campi con l'asterisco sono obbligatori:)
Aderisco all'appello malattie rare promosso dall'Istituto Superiore di Sanità.
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Data di nascita*:
Professione:
Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del codice in materia di protezione dei dati personali (D.L.196/2003). I dati così raccolti saranno utilizzati esclusivamente per il fine del presente appello e conservati a questo scopo esclusivo.

mercoledì 18 febbraio 2009

sulle ali di un angelo..

Il 21 gennaio 2008, solo 22 giorni dopo che lui ci aveva lasciati, seduta davanti al mio pc scrivevo di getto quanto ci era accaduto nei mesi precedenti. Per me fu solo uno sfogo, un racconto da condividere con i miei "amici" del sito Distrofici.it, pensieri letti sino ad oggi 5000 volte.....quel pomeriggio nacque la mamma di Nathan. Lo stesso pomeriggio da un'altra parte in Italia un altro angelo stava mettendosi in viaggio....Pietro... seguito pochi giorni dopo da Ethan...
in quello stesso sito ho conosciuto Viviana, Giuseppina, Anita, Peppe, tanti altri amici aSMAtici -come dice Peppe- e tante altre mamme e papà con cui ho poi condiviso un anno di lotte, di gioie, di dolori, di successi e di scontri....
le serate di beneficenza, l'apertura del centro di Villa Sofia a Palermo, le conferenze, il progetto educativo con i miei bambini, gli sms da una punta all'altra di Italia per consulenze, conforto, amicizia....Sebastiano, un genetista incontrato per caso e a cui devo l'incoraggiamento che oggi mi ha regalato Hevan.....Nicola, Chiara, Renato, Paolo, Rosy, Giancarlo....Progetti realizzati e progetti futuri; Famiglie SMA; un crescendo di proposte impensabili che sembrano concretizzarsi.
Tutto questo in nome e per conto tuo, mio piccolo Nathan.... avrei voluto parlare di questo il giorno del tuo anniversario amore mio, ma ero reclamata altrove e tuo padre mi ha saputo sostituire egregiamente.....
......un giorno arriva il bando di concorso dell'istituto delle malattie rare. Lo pubblico, lo pubblicizzo, ma non penso affatto di partecipare: l'idea non mi sfiora neanche. Finchè la storia di Nathan la legge Chiara, che mi convince a partecipare, con un testo che ho leggermente modificato, ed a includere le storie del Sapre e di Le mamme degli angeli....come sapete non abbiamo vinto, fatta eccezione per il disegno di Candy. Le storie SMA sono troppo dure anche per chi vive le malattie rare.
Nello stesso tempo avevo scritto a Raccontaci di Telethon, nella speranza che qualcuno ci desse visibilità a livello nazionale....mi hanno ricontattato da poco e il risultato è questo:

lunedì 16 febbraio 2009

Parole per Frittella....

Mi hanno sempre detto che il mio racconto sulla storia di Nathan è molto commovente...ma quando ho letto le parole di papà Gilberto, mi sono sentita piccola piccola...
Parole per Frittella

Ricordo quando sei arrivato. L’ascensore ha aperto le porte e ti ho visto, piccolo e urlante, nella tua culletta termica. La meraviglia e l’amore che sono montati dentro erano una sensazione inaspettata, per me che pensavo di essere pronto a tutto. Ti ho seguito inebetito reggendo i tuoi vestitini nell’altra mano, cercando un po’ di intimità. Non ho avuto il coraggio. Ho guardato, assaporando ogni dettaglio, mentre ti lavavano e ti cambiavano, con movimenti che presto sarebbero stati anche miei. Poi, finalmente, ti ho avuto in braccio. Pochi istanti, per poi rimetterti nella culla, al caldo, e finalmente soli. Mi sono inginocchiato, al tuo fianco, e ti ho parlato. Hai fermato le tue grida per aprire gli occhi e hai guardato dentro i miei, cercando quella voce che già da tempo conoscevi. Già allora tu sapevi che sarebbe stato breve, ma in quel momento eravamo solo noi. Tu, mio piccolo Amore ed io, il tuo papà. Ho capito in quel momento il valore della vita, il vero significato ed il motivo per cui veniamo al mondo. Come una cosa così semplice sia in realtà così complessa, non è spiegabile. Ma tutto è diventato chiaro: la mia vita era la tua. Mi hai guardato e ti ho guardato, ed ho pianto. Ho capito la fortuna e non ho potuto più trattenere quello che non sapevo di avere dentro. E ci hanno trovati così, a parlare della vita, mentre cercavo, maldestramente, di mandarti il mio amore.Poi, finalmente, noi tre: l’attimo in cui la coppia è diventata palesemente “Famiglia”. Quel momento tanto desiderato e tanto atteso, ha sprigionato la sua magia, ed ha cementato, come se ci fosse un ulteriore bisogno, un sentimento immenso. L’attesa, l’ansia, tutti i timori si sono sciolti alla tua vista, mentre prendevi le misure di una tutina che sembrava gigantesca. Sei stato con noi, appena possibile, e mi perdevo nel guardarti, incapace di credere come fosse possibile creare tanta dolcezza. E per la prima volta nella mia vita ho provato cosa vuol dire esser appagato, ho provato la vera felicità.I primi giorni sono stati strani, in clinica, mentre prendevi le sembianze di quello che stavi diventando, passando dalla dimensione del nido della mamma, alla tua culla, circondato da persone che ti amavano sin dal primo istante. La prima pappa, acqua e zucchero, il secondo giorno, con il biberon, in attesa che il latte arrivasse. Quel latte che ti ha fatto crescere e che hai tanto chiesto ed amato, alla tua mamma. La tenerezza infinita che provavo, cercando maldestramente di tenerti, provando una gestualità nuova. Il tuo profumo, che mai dimenticherò, di cucciolo nuovo, quel misto di latte e sapone buono, che facevano di te il fiore da sempre cercato.La mattina di Gennaio che sono partito da casa per venire a prenderti e portarvi finalmente a casa. Era ancora buio e le strade erano deserte, quel sabato mattina. E la radio mandava gli U2, annunciando una verità sconosciuta ancora: With or without You. L’ SMS al DJ, che a sua volta ricordava il suo momento magico: sto portando a casa il mio Piccolo, i miei Amori. Ed il mondo non è più buio, ora è sorto un sole nuovo, che porta Luce e calore. Com’eri piccolo, dentro al porta enfant, con gli occhi chiusi ai raggi del tuo primo sole ed un vento dispettoso che cercava di scompigliare i tuoi capelli scuri. E poi finalmente a casa, quella casa voluta per te, con gli alberi ed i tuoi disegni alle pareti. Ed i tuoi piccoli amici che accompagnavano la tua giornata, e che ancora non conoscevi bene.Il primo bagnetto a casa non è stato il mio. Guardavo, un po’ invidioso, chi aveva più esperienza di me; ma era solo questione di poco tempo, prima che quella prima volta catturasse il nostro rito, dandoci l’appuntamento giornaliero in cui cominciavamo a conoscerci. Non ricordo quale sia stata la prima, se quella del bagnetto o la nostra ninna nanna. Se pensavo che tua nonna - la mia mamma - mi cantasse qualcosa di assurdo, mi son dovuto ricredere, ascoltando le nostre parole. E quanto tu hai apprezzato quelle canzoni con poco senso e tanto affetto. Quanto ti ho cantato e quanto vorrei poterti cantare ancora. Tanto che ancora canto, mentre ti penso. “E siamo molto felici, siamo tutti puliti”. Alla sera, inginocchiato sulla tua vaschetta, non sentivo la schiena che protestava, e mi godevo le tue espressioni, mentre pensavo di portarti a breve in piscina, ad insegnarti un amore per l’acqua che speravo comune. E quanto è stato quell’amore, fino all’ultimo, godendo l’uno dell’altro dell’intimità privata che quei pochi minuti ci consentivano, prima del rito del pannolino, dei fazzolettini e della crema. Allora ti immaginavo a piedi scalzi sulla sabbia, abbronzato ed ancora un po’ incerto sulle gambe, mentre assieme andavamo incontro al mondo. Quello stesso mondo che ho cercato di raccontarti coi pensieri e le parole, nei lunghi pomeriggi passati a guardarci, rubando istanti preziosi. E mentre crescevi a vista d’occhio, succhiando dalla mamma la tua vita, scalciavi sulla bilancia, urlando la tua fame e pretendendo la tua pappa, subito. Tu, piccolo clone della tua mamma. La vita sembrava prendere la direzione pianificata, con te, la mamma, il lavoro e la fuga a Camogli ogni fine settimana. Come sarebbe potuto essere. Sei settimane. Quaranta giorni di normale felicità.
E’ stata la mamma che lo ha capito per prima: quella pigrizia strana, che invece nascondeva un errore raro. Ho in mente una telefonata, dove ancora non era chiaro, ma che diceva: qualcosa non è a posto. Un tassello poteva essere stato sbagliato.
Il crescendo di quei giorni, il timore che diventava terrore, mentre si cercava di non dare un nome a quanto stava succedendo. Fino a quel venerdì di Marzo, quando mi dissero: Vieni, presto!
Quanto eri piccolo, disperato per quello che ti stavano facendo. Ero incapace di consolarti, ti potevo solo dire: Va tutto bene, Piccolo mio. Va tutto bene; il tuo papà è qui con te. E gli esami, i prelievi. Già avevi capito che l’ospedale è un posto di dolore, dove la vita appassisce al lento scorrere dei giorni.
Quel fine settimana è avvolto dalla nebbia azzurrina della luce della notte, passata a contare i tuoi respiri. Un ricordo solo è scolpito, con lettere di sangue, direttamente nella mia anima. Amiotrofia Spinale.
Un nome che di per sé incute timore. Unito alla paura data dalla non conoscenza. Non c’è cura, non c’è futuro, non c’è vita, tra molto poco. Nulla si può fare, se non tornare ed aspettare, supini. Ho dovuto scriverlo, rileggerlo, per farlo mio e capire cosa sperare che non fosse. Ho pregato chi non so perché i risultati fossero negativi, mentre mi spiegavano cosa sarebbe stato. Ho voluto sapere i dettagli subito, per capire con cosa avevamo a che fare. Ho voluto io che mi instillassero il terrore puro, mentre mi raccontavano cose che non avevo mai nemmeno immaginato prima.
Siamo scappati, letteralmente, dopo aver pensato di perderti li. Siamo tornati a casa, intontiti, ma decisi a cercare, a trovare qualcosa che ti fosse d’aiuto. E mentre speravamo che non fosse, io già sapevo. Me lo avevi detto tu, uno dei primi assaggi di ciò che sarebbe poi stato normale, tra di noi. Poi quella telefonata, quella voce fredda che confermava il verdetto, come fosse una soddisfazione, l’aver visto il problema da lontano. Senza umanità. Senza compassione. Con la stizza nella voce alla richiesta della conferma sulla carta, come a dubitare della sua vittoria. Ma era la tua vita.
Siamo andati al mare, quel venerdì. Siamo partiti che eri ancora sano, con un dubbio che era tenuto nascosto. Siamo andati a fare quell’ultimo weekend normale, prima che la vita cambiasse anche esteriormente.
Ho cercato di proteggere la mamma. Ho spostato deliberatamente in avanti le lancette del tuo orologio, perché quello era nostro. E pioveva. Ma noi siamo stati bene. Noi, come avevamo sempre desiderato. Senza parlarne. Fingendo una normalità che non era nel cuore. Il mare da lontano era grigio come i tuoi occhi, mentre sentivi che la vita, forse, sarebbe stata ancor più breve. Indietro a casa, il fato ha voluto essere bastardo, facendole trovare quei tre fogli nella posta. Ed è stato reale. Per tutti, ma per nessuno. Hanno messo un traguardo più vicino, troppo. E a nulla valevano le lacrime, nessuno poteva fare nulla per aiutarti. E tu appassivi. Ti guardavo, e non ci credevo. Ti guardavo e non potevo accettare la mia impotenza. Ti guardavo, offrendo la mia vita in cambio della tua. Ma nessuno mi ascoltava. Poi tre luci, come per caso, si sono accese. Tre persone hanno visto che poteva non essere così, che c’era spazio per combattere. E la lotta è cominciata. Tu lo hai capito e con noi hai lottato. Tutto è cambiato in un istante. Il traguardo si è spostato in avanti, il domani è ritornato ed il tempo ha ricominciato a scorrere.
Il tempo: cos’è stato questo tempo se non un susseguirsi di sguardi, dilatato nella sua concezione terrena? Quanto tempo ho passato con te, che mi sembra eterno e troppo poco? Abbiamo imparato, forse in momenti diversi, io e la mamma, cosa poteva essere. Ho cercato per primo di capire, in modo da difendere te e lei, da rendere meno duro e brutale il futuro. Ho guardato con terrore crescente attrezzi che sarebbero diventati comuni, allora incapace di capire come fosse possibile convivere con quelle cose. Ho camminato avanti, da solo, facendo mio ciò che poteva essere utile nel quotidiano, nell’emergenza, aiutando la mamma ad accettare ed a imparare lei stessa quelle cose. Abbiamo avuto la fortuna di trovare subito chi ci ha dato le risposte, brucianti forse, ma sincere e vere, alle domande che non avevamo il coraggio di fare. Abbiamo imparato. Le giornate passavano e tu avevi deciso. Noi correvamo contro il tempo, rafforzando la Speranza con i tuoi movimenti. E tu sapevi e non ci dicevi. Quasi volessi illuderci per farci trascorrere momenti sereni. E lo sono stati, sereni. Le canzoni erano sempre più nostre. La ninna nanna della mamma aveva più successo di Papero Papero Papero Pa, e tu ti addormentavi, pattato dolcemente nella fioca luce della notte. Quante volte ti ho guardato, a quella luce, studiando il tuo viso, per imprimere ogni tuo particolare nella mia mente. Ho respirato sotto il bordo della culla per non disturbarti, pregando per una nanna serena. Quante volte ti ho accompagnato alle pappe notturne con la mamma, solo per esserci. Solo per dare a lei e a te la mia presenza, per quello che poteva servire. Solo per dare a me la possibilità di vivere un altro tuo istante. E mi sono impadronito di piccole cose: il ruttino, qualche cambio notturno, con quella confidenza che conosceva ogni tuo centimetro di pelle, assaporando ogni secondo che ci veniva regalato. Abbiamo filmato i tuoi bagnetti, confrontando i tuoi movimenti giorno per giorno, con la gioia nel cuore per quei pochi millimetri. Hai usato le tue manine, per cominciare a conoscere un po’ di ciò che ti stava attorno. Hai stretto un nuovo Amico, Nando dalle morbide lunghe orecchie, lo hai tenuto sempre con te, anche ad accompagnarti nel viaggio più lungo. Quanto sembrava lontano quella data di Maggio. Pioveva forte al mattino, ma tu sapevi che ci sarebbe stato il sole. L’erba tagliata di fresco era verde e profumava di buono. Tutti ti erano attorno ed erano felici, chi sapeva e chi, ancora, ignorava. Il sole, sulla porta della chiesa, e Don Pietro. Chi più di lui poteva essere adatto a te? Le parole, le persone. Quanto Amore c’era, sotto le arcate. Ti ho tenuto, e ti ho guardato dentro, sperando che potesse accadere qualcosa che tu non volevi. Ancora non capivo qual’era la tua volontà. Ma ti ho guardato ed ho sentito il sapore delle lacrime, perché sentivo che non c’era tanto spazio, che la sabbia non avrebbe visto le orme dei tuoi piedini. Eri splendido quel giorno, Re in mezzo a gente che neppure conoscevi, ma sempre a dispensar sorrisi, fino all’ora della pappa, quando la mamma è venuta a prenderti e ti ha dato la sua vita. Abbiamo brindato a te, abbiamo mangiato la torta di Frittella, golosi nell’assaporare un giorno lieto. Come se fosse stato vero. E quel giorno ho sperato. Ho sperato davvero di vedere la tua Comunione, non come Rito, ma come data. Ho sperato che forse non fosse davvero Primo Tipo, che forse ciò che non è convenzionale sarebbe stato più forte della tradizione. Ed ho vissuto, quel giorno ho vissuto sperando di vederti grande. Ma tu hai cominciato presto a giocare con la voce, con quello che è stato il primo segno, senza che noi sapessimo, pensando ad un tuo vezzo. Invece tu sapevi e con quel gorgoglio ci dicevi che il tempo passava, che gli attrezzi dovevano esser sempre portati appresso. Quello è stato l’inizio. E’ stato come una sfera che prende velocità in discesa, solo che la sfera era la tua vita.
La mamma è intervenuta per prima, usando quella cannuccia nel tuo nasino. Precisa, perfetta. E’ stato come non accorgersi di ciò che stava accadendo, mentre l’intervallo tra una volta e l’altra diminuiva. E mentre la cannuccia diventava una presenza costante, un rumore che avrei sentito ancora nei giorni vuoti, tu avanzavi sulla tua strada, seguendo il tuo disegno, senza darci possibilità di intervenire a variare ciò che volevi.
La metà dell’anno ormai c’era e tu hai cominciato a dirci che basta, era il momento di prepararsi. Ma come potersi preparare a ciò che non vuoi, ciò che mai avresti accettato? Solo l’amore immenso ci dava la forza, quando ormai il sonno era un ricordo lontano. Ma la tua presenza, piccolo e caldo di fianco al mio letto, era la linfa della vita che, malgrado tutto, continuava.
Quell’immagine strana, quel giorno, mi ha lasciato senza parole. Tu, in braccio alla Madre, sorridevi sereno, e dall’angolo opposto al solito tenevi quel filo sottile, lucente, a mostrare ancora una volta che sarebbe stato poco.
Giugno era finito, l’incubo sembrava passato, anche se avevi cominciato a mangiare di meno. Magari il traguardo era più distante, ma no. Era solo questione di ore. E da quel momento i ricordi si accavallano, perdendo la linearità del tempo e mescolandosi vividi nella mia mente.
Ti vedo di fronte a me, come se fosse ora. Il rigurgito e la macchina che non aspira. Mi guardavi, con i tuoi occhioni che dicevano: papà, aiutami. Ed io ho detto: lo perdiamo! Ma non volevo, non potevo lasciarti andare. Ho soffiato aria dentro di te, cercando di ridarti quel respiro interrotto. Ho spinto sopra al tuo cuore, per continuare a farlo battere. Ho continuato a soffiare e a spingere sul tuo pancino, con movimenti guidati dalla disperazione, dall’istinto, da te. E finalmente hai buttato fuori quel grumo di latte. Hai ricominciato con un debole respiro. La mamma si disperava, incredula, senza sapere cosa fare. Ma tu sei tornato da noi. Ricordo di averti detto, dopo: Se vuoi andare, ora puoi. Ma non prima, non così, non di fronte a Lei. E sei restato. Chiudo gli occhi, ora, e rivedo i dettagli, ma più forte di tutto è il tuo sapore in bocca: latte, dolce nel terrore. Mio piccolo Cucciolo, come se fosse necessaria un’ulteriore prova. Io ero tuo e tu eri mio. Come hanno detto, hai avuto la fortuna di nascere due volte. E la seconda volta sei nato con me.
Da quel giorno tutto è cambiato. Sapevo che l’orologio aveva finito la sua carica, ma non volevo accettarlo. E nel contempo, consideravo crudele tenerti qui, con noi, a soffrire. La pappa oramai era un ricordo lontano, non riuscivi più ad inghiottire quel latte di mamma che ti aveva cresciuto sino ad allora. La bilancia che tanto ci aveva rallegrato, dopo aver fermato il suo cammino, aveva iniziato a tornare indietro, senza che noi riuscissimo a darti il tuo cibo. Quel giorno al pronto soccorso, con quel dottore alto che hai conquistato al primo sguardo. Ti hanno messo un ago nelle vene per darti acqua, ma non era la soluzione. Non era il posto. Tu dovevi, volevi essere a casa tua. Il pericolo era dentro ai polmoni. Non volevo credere all’avverarsi di un’altra delle cose annunciate, come se stessimo spuntando una lista. Ma su quella lista le cose rimaste erano poche. E l’ultima era puro terrore.
Quando quella sera ti sei addormentato con la macchina collegata al piedino, i numeri verdi hanno iniziato a danzare, come una foglia che lascia l’albero ed inizia a scendere verso il terreno, a volte portata dal vento, ma piano piano, sempre più in basso. Ci stavi lasciando, pensavi che il tuo lavoro qui fosse terminato. Me lo avevi detto già molte volte. Come quando prima di partire da Camogli, l’ultima volta: Non rivedrò più questa casa. Ed io ho sentito la tua voce dentro di me, pronunciare queste parole serene, di chi sa dove sta andando. E un’altra parte di me ha cominciato a morire. Ti ho detto vai, se vuoi cucciolo mio, ti ho parlato senza parlare, come facevamo noi due, per salutarti. Ma la mamma non era pronta ancora. Per te ho imparato a sconfiggere la mia paura e ad infilarti il tubicino nel naso. E tu, incredibile Cucciolo, aspettavi che io contassi, ed inghiottivi mandandolo dove doveva andare. C’era il tuo papà a fare il lavoro sporco. Le tue sette pappe, di giorno e di notte, erano il nostro appuntamento. Nessuno ti ha toccato, né allora né mai. Hai ripreso peso, hai continuato a restare con noi. Sapevamo che il termine si avvicinava, e vivevamo ogni minuto, aspirandolo con disperata avidità. Quell’ultimo weekend è stato bellissimo. Noi tre assieme, a casa, a immaginare una vacanza al mare che non sarebbe venuta. A sperare di ingannare il destino e riportarti dove non saresti tornato. Abbiamo vissuto intensamente, scherzando, giocando. Abbiamo le tue immagini, con i tuoi amici. Sei sereno, sorridente. Come hai fatto ad avere tutta quella forza dentro ad un involucro così piccolo e fragile?
Quando tutto è diventato fatica, la mamma ha capito e ti ha parlato: Vai, se vuoi, la mamma è pronta. Le parole che aspettavi.
Ero fuori, a prendere una medicina, quando la Zia mi ha detto: 70! Ho chinato il capo e sono tornato subito, perché sapevo. Quello era il tuo momento, quello che mi avevi sempre raccontato, cominciando da lontano. La fogliolina ancora ha cominciato a danzare sui numeri verdi, portando valori che per gli umani non sono più vita. Io sapevo che sarebbe stato al mattino, quando tutto è silenzio. Poi ci hai salutato, e quando gli allarmi continuavano a suonare, ho staccato la macchina, perché oramai eravamo solo noi. Hai aperto la porta alle 4.30. Hai guardato la luce dall’altra parte, che mai hai smesso di vedere. Ci hai regalato ancora qualche respiro e poi quel sospiro, come di liberazione, quando ti abbiamo salutato, baciandoti mentre ti tenevamo la mano. Ti ho preso in braccio, ancora una volta. Ti abbiamo cambiato, con un patello pulito e la tua crema col profumo di buono. Quel vestitino azzurro, che ti dava un’aria elegante, regale. Ho rubato una ciocca dei tuoi capelli: il gioiello più prezioso che esita. E ti ho messo nella tua culla, abbracciato a Nando, con tutti i tuoi amici ad accompagnarti.
L’ultima volta che ti ho preso in braccio, per deporti nella cassettina bianca. Ho voluto farlo io, come sempre, perché è il papà che fa queste cose. E non ti ha mai toccato nessuno. Solo io. Ti ho adagiato su quel velo bianco, con il tuo cuscino ed il lenzuolino ricamato. Abbracciato a Nando, con Pino, Gino e Pucci a tenerti compagnia, e la nostra foto, mamma e papà, al tuo fianco. Ti ho accarezzato ancora una volta, ho baciato la tua fronte bianca, prima di chiudere il coperchio. Siamo andati assieme al mare, verso quel posto che Paola aveva trovato per te, assecondando per amore una richiesta assurda. Voglio una casa sull’acqua, da dove vedere il mare, mentre cantano i gabbiani. E lei te lo ha trovato. Il tuo vestito ha dormito ancora una notte nella casa sulla collina, prima di ritornare in quella chiesa che ti aveva visto protagonista, in una insperata giornata di sole. Ed ancora il sole, in un cielo bianco, con Don Pietro che aveva capito. Ti ho portato sulle ginocchia, verso il tuo posto. Ho lasciato che tutti salutassero il tuo vestito, con l’ultimo bacio della mamma. Ti ho poi sistemato, ancora una volta io ultimo, mettendoti a fianco i fiori. Ti ho salutato ed ho lasciato li il mio cuore. Perché tu sei la mia vita.

mercoledì 11 febbraio 2009

la favola di Josè Manuel


1) Dopo averlo tanto atteso un bel giorno nel nostro nido arrivò Josè Manuel, un uccellino molto speciale
2) Ben presto ci accorgiamo che qualcosa non va…il nostro uccellino non volerà mai
3) La diagnosi ci fa conoscere l’Atrofia Muscolare Spinale, una terribile malattia genetica….
4) da quel giorno tanti medici cominciano a stropicciare le piume del nostro tenero uccellino..
5) ma nessuno ci sa aiutare, finché lui non resistendo comincia a stare sempre peggio
6) cerca e ricerca una soluzione, alla fine riusciamo a trovare un faro che illumina le nostre giornate buie
7) voliamo al SAPRE
8) dove ci insegnano come lavarlo, accudirlo, sistemarlo, nutrirlo, coccolarlo
9) e quindi possiamo ritornare al calore del nostro nido
10) Qui ci prendiamo cura di lui con tutto il nostro amore
11) Finchè Josè Manuel non decide di spiccare il volo ed andare lì dove vivono tanti uccellini speciali come lui.

lunedì 9 febbraio 2009

Martina e la NIV


La nostra bimba ha 3 mesi... tutti ci dicono che è un “maialino”, pesa un sacco, è per quello che non si muove come gli altri...

La nostra bimba ha 5 mesi, non ce la facciamo a restare indifferenti alla sua parziale immobilità, alla difficoltà che ha ad alzare la testa in posizione supina, abbiamo bisogno di capire di più...

La nostra bimba ha 6 mesi, è il 25 luglio 2007, abbiamo trascorso questo “ultimo” mese aspettando esiti di esami sconosciuti fino ad allora... entriamo nella corsia del reparto di neuropsichiatria infantile dell'Ospedale Regina Margherita di Torino ed una dottoressa “troppo” gentile ci dice di accomodarci nel suo studio...

La nostra bimba ha 6 mesi... la nostra bimba ha la SMA.

Ci è caduto addosso un macigno, ci è sembrato di dover in tutti i modi affidarci a qualcuno che avesse la formula per regalarci una speranza, ma i medici hanno potuto solo diagnosticare, dandoci un “appuntamento” per quando si sarebbe presentata un'emergenza (ma emergenza come?, emergenza perché? in che senso?) nulla di più...

Settembre 2007. Milano. Portiamo Martina al Sapre, ci è stato proposto dal reparto di Recupero e Rieducazione Funzionale dell'Ospedale Cardinal Massaia di Asti. “L'abbiamo trovato su internet, il Sapre”, ci è stato detto...”un posto dove ne sanno qualcosa di più sulla SMA, dove fanno un po' di fisioterapia per le malattie muscolari, lì troverete altre famiglie nelle vostre stesse condizioni, conviene provare” e fiduciosi un mattino di settembre ci siamo presentati lì con non so quanti dubbi, paure, speranze...come fosse l'ennesima visita per sapere non so cos'altro dopo quella terribile diagnosi.

L'impatto non è stato felice, ci sono state dette cose che riguardavano il futuro e che noi credevamo non ci riguardassero...Martina non aveva nulla di tutto quello!... in fretta ci siamo resi conto che la SMA faceva parte della nostra vita e abbiamo provato ad applicare quei piccoli insegnamenti che tornavano poco alla volta alla mente da quel giorno al Sapre... e funzionavano... eccome... piccole cose, posture, modi per fare le cose più semplici che per noi cominciavano a diventare difficili e complicate. Ma nessun medico ce ne aveva parlato... la nostra vita di tutti i giorni, era quella che cominciava ad essere compromessa ed era quella che noi dovevamo imparare a gestire per noi e per la nostra Bambina.

Il Sapre, nella semplicità e con la passione delle persone che ne fanno parte, ci stava dicendo la cosa più importante... nessuno può conoscere di più la SMA di chi ci vive a contatto 24 ore su 24 e di chi la combatte giorno per giorno per il proprio figlio o figlia.

E quando fai una domanda è come parlare contemporaneamente con tutti i genitori come te, che hanno i tuoi dubbi, che hanno provato, che hanno vissuto la tua stessa emergenza e che attraverso il Sapre la regalano a te, così come tu fai e farai con altri ancora... i bimbi delle foto che ci sono al Sapre sorridono, o hanno sorriso, e questa è per noi la conferma che tutto ciò che lì impariamo ci serve per donare a nostra figlia il meglio che si può! Ringraziamo tutti i giorni di avere conosciuto il Sapre, è un sostegno che poche persone possono dire di aver avuto nella vita... e Dio solo sa quanto può essere difficile affrontare qualcosa che non conosci e che ti spaventa come una malattia senza cura...I medici ti aiutano, e ti fidi della loro conoscenza, il Sapre ti forma, ti fa maturare la consapevolezza di ogni gesto che fai, di ogni decisione che prendi, qualunque sia, ti dà quell'appoggio anche morale che può mancarti nei momenti più difficili.

Ottobre – Novembre 2007. Abbiamo a casa l'aspiratore e il saturimetro... a che servono? Sono lì nel mobile, dietro le ante per dimenticarceli... e intanto teniamo contatti con vari ospedali... Asti, Torino, controlli notturni della saturazione, visite varie, tutte cose senza un perché, tutti appuntamenti per dire quanto e con che velocità la SMA sta attaccando la nostra bambina... e intanto non si fa nulla per affrontarla... una sera la saturazione è 93, abbiamo paura, pensiamo tanto, poi ci ricordiamo dell'aspiratore, la mano trema, la mia? Quella di mia moglie? Provo io... Martina ci stupisce per la sua calma... e piano piano la saturazione sale, un punto alla volta, e la mia mano trema sempre meno... 98... possiamo dormire tranquilli... forse al Sapre avevano fatto bene a spiegarci come funzionava l'aspiratore...Sicuramente sarà bene avere a casa anche la macchina della tosse... lo dicono al Sapre, ora ci fidiamo... ma non è così semplice.

Al Regina Margherita, reparto di pneumologia, non sono di questo parere, la bimba è troppo piccola, non collabora, la macchina della tosse ha più rischi che benefici... ma allora perché al Sapre la dichiarano come essenziale? Forse perché la usano 200 bambini in Italia su loro consiglio? Il medico pediatra del nostro Paese ci sostiene, intercede per noi, garantisce la nostra serietà, solo così otteniamo una prescrizione per la macchina della tosse.

12 Dicembre 2007. Martina ha la bronchite. Senza rendercene conto la situazione precipita in una notte. Saturazione 84 fissa. 118? O ce la possiamo fare da soli? Optiamo per la seconda scelta, e la macchina della tosse si rivela la salvezza di Martina... medici amici di famiglia ci confermano il mattino seguente che Martina in ospedale sarebbe stata intubata immediatamente, con forte rischio di non poter più essere estubata, con conseguente necessità di eseguire una tracheostomia.

È arrivato il 2008, sono passati appena sei mesi dalla diagnosi ma ci sembrano anni, ci rendiamo conto di essere cresciuti tantissimo e maturato la consapevolezza della malattia e di ciò che comporta... vediamo nostra figlia sorridere ogni giorno, quasi dal mattino alla sera, non sembrano pesarle più di tanto le “torture” che le infliggiamo con gli strumenti che all'inizio cercavamo di nascondere negli armadi, aspiratore, saturimetro, ecc... crediamo e ci convinciamo ogni giorno che la strada, almeno la nostra, è questa, è quella che desideriamo per Martina, abbiamo scelto per Lei la VITA, ed ora c'è un passo decisivo da intraprendere. Ce ne hanno parlato al Sapre già da tempo, è la ventilazione non invasiva, da utilizzare come “fisioterapia respiratoria”... effettivamente è un metodo riconosciuto efficace per varie patologie e pazienti adulti... facciamo lunghe chiacchierate con Chiara del Sapre e ammiriamo la sua capacità di non influenzare una scelta così importante. Vediamo foto di bimbi che seguono questa strada, effettivamente sono incredibilmente diversi da quelli che sono stati tracheostomizzati. Accanimento terapeutico un ventilatore che con mascherina nasale, solo di notte, dà aria alla nostra bimba? I bimbi delle foto sorridono sotto le loro mascherine... sono contenti, stanno bene, si lasciano “cullare” in quell'aria. No, per noi questo non è accanimento, è uno strumento utile per dare serenità a nostra figlia e migliorarle la Vita. Il Contatto del Sapre per la ventilazione non invasiva è l'Ospedale Gaslini di Genova, conferma per noi che Il Gaslini è sempre un po' più “avanti” degli altri...

29 gennaio... ci ritroviamo nella Rianimazione del Gaslini di Genova... entriamo, dopo 15 minuti Martina ha indossato la mascherina della NIV, piange, e lo fa finché noi gliela togliamo. Al pomeriggio riproviamo, ora si è “ambientata”... come sempre ci stupisce, piange 5 minuti, poi comincia a giocare con noi e sembra dimenticarsi della mascherina. La notte, la prima in assoluto, dorme tranquilla con “l'aria” per 10 ore consecutive...


Questa è la testimonianza di due genitori come tanti altri, che senza preavviso si sono ritrovati in un mondo che non era il loro... a combattere con una malattia invalidante, incurabile, ma assolutamente NON SCONOSCIUTA... la si conosce, e bene, grazie al patrimonio di esperienze e conoscenze sulla SMA costruito sulla vita di tante famiglie disperate, che hanno saputo reagire, scambiarsi suggerimenti e confrontarsi, coordinato da persone che non si sono limitate a leggere sui libri poche (perché ce ne sono troppo poche) righe sulla SMA, ma hanno saputo negli anni amalgamare tutto questo, spronare i più deboli di noi genitori, sfruttare la forza e l'ingegno dei più attivi, non senza tenere un occhio puntato sul mondo che cambia e sulle nuove possibilità che la tecnologia e la ricerca ci offre, come la ventilazione non invasiva...

da queste persone, medici e non, che ogni giorno dedicano il loro tempo a tanti bimbi che non sono i loro, tutti abbiamo solo da imparare...

Renato e Raffaella



non si può che condividere ogni singola parola....

la mamma di Nathan

sabato 7 febbraio 2009

Domani 8.45, a Palazzo Sant'Elia con Assoinsieme

L'associazione culturale siciliana Assoinsieme abbraccia la causa di Famiglie Sma e di Le mamme degli angeli.

In occasione della visita gratuita che si terrà l'8 febbraio (ore 8.45) a Palazzo Sant'Elia (via Maqueda 81, Palermo), la presidentessa Dott.ssa Daniela Torretta presenterà le attività della nostra associazione organizzando una raccolta di beneficenza tra i partecipanti.


http://www.assoinsieme.it/

venerdì 6 febbraio 2009

Aggiornamenti...

CONCORSO IL VOLO DI PEGASO....
Molte di noi hanno presentato le storie per il concorso Il Volo di pegaso indetto dall'istituto superiore delle malattie rare...è andata male...mi sarei aspettata molto di più, ma come dice una mia cara amica le nostre storie sono pubblicate nel posto più idoneo...cioè qui. ma non mi fermo tenteremo altre strade. L'atrofia muscolare spinale sarà comunque presente con un quadro relizzato da Candy, mamma di Josè Manuel....le altre storie che avevo ricevuto per il concorso -e che per non farle escludere ho lasciato FIN ORA inedite- saranno a breve pubblicate qui....
GIORNATA DI FORMAZIONE NIV (VENTILAZIONE NON INVASIVA)



Si è svolta ieri presso il Punto di accoglienza "Nathan e Gabriele" realizzato nei locali dell'U.O. di Neonatologia dell'Ospedale di Villa Sofia di Palermo, la giornata di formazione sulla NIV. ho potuto seguire poco perchè reclamata altrove da un piccolino...ma è stata una giornata entusiasmante, partecipata da diversi medici che si sono confrontati e hanno ascoltato Giancarlo Ottonello e Paolo Serrao, due grandi uomini prima che due grandi professionisti. La NIV è VERAMENTE approdata nella terra di nessuno. Ringrazio sempre con tutto il cuore Chiara, grande assente, che è stata la regista occulta di questa giornata, e senza la quale i miei progetti sarebbero rimasti solo sogni. ringrazio gli intervenuti e le famiglie di Giada e Aurora, che approfittando della presenza dei medici hanno fatto visitare le piccole, ma si sono anche prestati a fare le cavie...


HEVAN GREGORY
Per soddisfare la curiosità di molti...

HEVAN:Nome di origine ebraica il cui significato è "dono del Signore". In passato veniva dato a un figlio lungamente atteso.
Varianti straniere: Eoin, Giovanni, John, Iain, Ian, Ioannes, Ion, Ivan, Jan, Janos, Jean, Jens, Joan, Joao, Johann, Johnny, Juan, Keoni (hawaiano), Sean, Yan, Yannick.

In un solo nome ho quindi riunito il nome di Giovanni e quello di Nathan, dono.

GREGORY: deriva dall'affetto che mi lega a Viviana e al suo Gregorio...

il mio piccolo cresce meravigliosamente, ma volevo dirvi che chi vuole sue notizie non le avrà più qui, ma conosce i canali per averle.
questo è il posto della mamma di Nathan e dei bambini affetti da atrofia muscolare spinale.... Giovanni ed io vi abbiamo messo a parte della nostra felicità e vi ringraziamo dell'affetto dimostratoci, ringrazio tutte le amiche-zie fatine che stanno dimostrando la loro partecipazione in tanti modi, ma questo spazio è nato per altro ed è stato dedicato ad altro...

un abbraccio a tutte.
la mamma di Nathan