lunedì 27 aprile 2009

Valeria.



È molto difficile riuscire ad esprimere tutto quello che un’esperienza così forte e sconvolgente come la distrofia muscolare congenita può provocare. Dopo che ti hanno dato una diagnosi di malformazione terribile e senza speranze (e tralasciamo di parlare del modo in cui una simile notizia viene comunicata), la vita non scorre più normalmente, ma tutto è sconvolto e irto di difficoltà che sembrano insormontabili.
Valeria è nata con una grave malformazione al sistema nervoso centrale. A sua mamma il giorno del parto non è stato risparmiato lo strazio di ricevere una notizia che era una sentenza senza appello, una condanna irreversibile: Iddio dà a qualcuno tutto, a qualcuno niente, a qualcun altro meno di niente. Ci sarà un senso in tutto questo: a noi, genitori della piccola Valeria, non basterà la vita per cercarlo, ma ci deve essere un senso se una bimba meravigliosa, la realizzazione di tutti sogni dei suoi genitori, ha spalancato i suoi occhioni blu in un mondo che non ha mai potuto vedere, ha passato tanti mesi in ospedale, ha subito tante sofferenze. Eppure ci sono stati giorni, ahimè troppo pochi, in cui rideva, piangeva, mangiava con gusto, si sforzava di tenere su la testolina senza mai riuscirci. Noi viviamo e vivremo sempre nella speranza che, almeno per qualche istante, abbia sentito il calore e l’affetto dei suoi genitori. Forse l’angelo custode di Valeria quel 21 giugno 2004 era distratto o occupato altrove. L’inferno è qui su questa terra, l’inferno è il reparto pediatrico dell’ospedale Besta, ma è diretto da tanti angeli custodi che si prendono cura dei nostri figli come farebbero con i loro. Quasi tutte le malattie di questi bambini sono gravi e raramente curabili, ma il conforto, l’affetto, l’attenzione, la cura che ognuno di loro singolarmente riceve è qualcosa che va ben al di là della magra consolazione di uno stipendio e che non si potrà mai adeguatamente ringraziare.
Questo era il mio stato d’animo quando nella mia vita è entrata Chiara Mastella, mentre eravamo ancora ricoverate al Besta. Chiara mi ha incoraggiata a tornare a casa, quando io avevo il terrore della responsabilità di curare una bimba attaccata una pompa, con tutto quello che ciò comporta (fisioterapia, barbituremia, alimentazione forzata, cambio del sondino naso-gastrico, svuotamento dell’intestino, posture, tutori ecc.). Sono stata aiutata in tutto questo e pian piano ho superato il mio terrore nel portarla fuori attrezzando il passeggino per la pompa e soprattutto ci è stata insegnata la cosa più importante: diventare indipendenti e riuscire a condurre un’esistenza accettabile per tutta la famiglia. Un grandissimo contributo svolto dal Sapre è stato anche l’alleggerimento da tutte le pratiche burocratiche che, nella situazione di panico assoluto nella quale ci trovavamo, certo non avremmo saputo affrontare da soli, e quello della burocrazia è un vero macigno che si abbatte su chi è malato e che costringe spesso a differire cure indispensabili e terapie urgenti. La medicina moderna non sa ancora guarire queste gravi patologie ma prolunga l’esistenza dei malati: ora, che senso ha tutto questo se non è accompagnato dall’impegno costante nel garantire loro il migliore benessere possibile? La malattia non è una vergogna, è una difficoltà che non sempre si può superare, ma si può sempre affrontare a patto di non essere soli, ma di avere qualcuno con competenze, capacità ed esperienza adatti.
Ci è stato dato il coraggio di andare avanti anche da soli: le difficoltà sono tante e ci vuole molta forza per affrontarle e la forza nessuno la può comprare, alcuni la trovano nella fede. La gente “sana” non si rende assolutamente conto: vivono come in un mondo a parte, pensano che certe cose succedano solo agli altri e a volte addirittura (ma sono casi rari ormai, per fortuna) sospettano che se ti è successo questo forse è perché, in qualche modo, lo hai meritato. Spesso poi ci commiserano, mentre il compatimento è proprio l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, perché questi bambini danno molto strazio, è vero (e lo strazio è quotidiano e la forza non si ottiene una volta per tutte, ma bisogna trovarla ogni singolo giorno), ma anche molte soddisfazioni, e questo il personale del Sapre lo sa benissimo. Nel centro di Milano cui ci siamo rivolti nessuno ci dice “Poverini”, nessuno ci dà una pacca sulla spalla: lì c’è gente che ha a che fare con casi disperati e si rimbocca le maniche tutti i giorni. Anche la condivisione, infatti, è molto importante, perché solo chi ha conosciuto queste situazioni estreme può capire, e vedere tanti bambini che soffrono, abbatte la tentazione di autocommiserarsi e di cedere al pericoloso vittimismo. Per fortuna non sono più i tempi in cui ci si vergognava della disabilità, e i malati restavano chiusi in casa come in una prigione dove potevano solo peggiorare. Ma io capisco la diffidenza della gente, perché la provavo anch’io: è solo paura, una sorta di scaramanzia con la quale si crede che negare o semplicemente ignorare l’esistenza del male sia sufficiente per evitarlo.
Questo non è un racconto, ma una testimonianza. Non riesco a trovare il distacco necessario per dare una parvenza ‘letteraria’ alla mia esperienza. Non ho la forza di altre mamme che considerano questa prova una gioia: non c’è nessuna gioia nel sapere che tuo figlio non potrà mai camminare, né vedere, né sentire, né mangiare, che gli sono destinati solo pochi anni di dure sofferenze. Però è tuo figlio e lo ami, e cerchi di sostituirti alla natura che non gli ha dato la salute. Il fatto che questo non sia possibile è la più grande frustrazione che una mamma possa provare e non la auguro a nessuno. Ma Valeria mi manca immensamente e nessuno potrà mai sostituirla, perchè ogni essere è unico e ancora di più lo è chi non ha avuto la possibilità di esprimersi. Dico ancora grazie al Sapre, che mi sta aiutando anche ora a superare il grande vuoto che c’è nel mio cuore.


Silvia, la mamma di Valeria

1 commento:

Anonimo ha detto...

TI VOGLIO TANTO BENE PICCOLA